Paraj Auta primo piano un vigneto 1 1Oltre alla ricca flora che caratterizza i prati e i giardini del quartiere, Bellavista gode della presenza benefica della collina della Paraj Auta. L’area naturale connette il centro abitato con il comune di Pavone Canavese e si estende fino al centro di Ivrea attraverso il secondo rilievo di Monte Navale. Un ecosistema che negli ultimi anni ha assistito a un progressivo abbandono delle pratiche agricole e forestali in favore di un inselvatichimento della vegetazione e un significativo miglioramento delle caratteristiche biologiche. Il bosco è ritornato sui terrazzamenti, un tempo coltivati, si è spinto sui roccioni in cresta e ora la collina appare come un imponente isola fronzuta tra gli abitati e i campi circostanti.


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La storia 

La Paraj Auta fa parte di una propaggine rocciosa di origine morenica sopravvissuta al passaggio del ghiacciaio Balteo. Il suo nome significa parete alta ed è conosciuta anche come Monte Appareglio. Ricco di dioriti e micascisti, il rilievo, come in diverse altre aree dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea (AMI), è caratterizzato da rocce affioranti arrotondate dalla forza delle pulsazioni glaciali. Al termine dell’epoca Wurmiana tutto il Canavese si mostrava come un grande acquitrino, testimoni ne sono i laghi e le paludi glaciali tuttora presenti nell’AMI. La Paraj Auta si stagliava al di sopra degli stagni, umida e ricca di vita. Oggi, dopo millenni di evoluzione climatica e profonde trasformazioni antropiche, mostra ancora tracce del suo passato grazie a un fitto reticolo di zone umide, risorgive e paludi. Questo grande patrimonio geo-naturalistico è valso la designazione di Zona Speciale di Conservazione della Rete Natura 2000. Sulla collina è presente una curiosa traccia dello scioglimento del ghiacciaio, la Sete dla Madona, il Sedile della Madonna. Si tratta di una piccola marmitta glaciale, prodotta dall’azione erosiva delle acque di fusione del ghiacciaio, da cui deriva la leggenda secondo cui la Vergine Maria giunse a Pavone Canavese, fu cacciata dagli abitanti che la credettero una zingara e prima di procedere per Oropa si fermò in quel punto e si riposò.

 

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La coppella rupestre è un incavo emisferico, generalmente del diametro di pochi centimetri, ricavato dall'uomo sulla superficie di basi rocciose, come affioramenti o massi erratici, chiamati per l'appunto massi cupellari o pietre a scodella, di solito posti in posizione dominante e panoramica. In Italia la concentrazione maggiore di coppelle si trova in Piemonte. Le incisioni a coppella sono presenti in varie culture preistoriche, ma il loro reale significato rimane per ora un mistero. Si pensa che queste scodelle scavate nella roccia fossero legate a qualche tipo di culto ancestrale, legato alla natura. Le ipotesi più plausibili sono quelle di culti legati all'acqua (le coppelle dovevano raccogliere l'acqua piovana e fecondare la terra) o di altari sacrificali per raccogliere il sangue delle vittime. Si è pensato anche che le incisioni potessero raccogliere grassi vegetali o animali per creare fuochi visibili, data la posizione dominante di gran parte dei siti.

 

Sin dalla scomparsa dei ghiacci e il ritorno della vegetazione, le aree della Paraj Auta e di Bellavista hanno ospitato popolazioni umane che le hanno vissute e modificate. Durante l’età del bronzo si consolidarono stanziamenti stabili, che lasciarono sul territorio segni ancora oggi visibili come incisioni rupestri a forma di coppelle emisferiche (segnalate dal Gruppo Archeologico Canavesano). Durante l’età del ferro la zona fu colonizzata dai Salassi, popolo di origine celtica, che vi si stabilì fino all’arrivo dei Romani. A nulla poterono contro la potenza militare ed economica di Roma che nel 100 a.C. li scacciò e fondò la colonia di Eporedia (odierna Ivrea), sopra un preesistente villaggio fortificato degli sconfitti Salassi. Sotto il controllo romano la pianura eporediese fu convertita in campi agricoli e prati secondo lo schema della centuriazione, ovvero della ripartizione dei fondi con un reticolo di stradine, muretti e canali. Anche le pendici del Monte Appareglio iniziarono a essere coltivate. Le aree umide che avevano caratterizzato per millenni questi luoghi furono in gran parte bonificate e trasformate.

Lo stesso fiume Dora Baltea, che un tempo si divideva in diversi rami, fu ricondotto a un unico alveo, quello ricalcante il braccio orientale, che attraversa Ivrea. I rami della piana occidentale (Fiorano, Samone) scomparvero, lasciando alle spalle il rio Ribes e ricche torbiere. Fu però mantenuta e migliorata la tradizione di terrazzare le ripide colline moreniche dell’anfiteatro. L’origine di questa pratica agricola, nata in epoca preromana sotto la dominazione dei Salassi, fu perfezionata con i Romani che ne compresero il potenziale per l’allevamento della vite. Sui terrazzamenti venivano realizzati vigneti strutturati in pergole lignee di castagno, sostenute dai cosiddetti pilun, piloni di testata in pietra a secco realizzati con maestria con materiali lapidei locali. Oltre alla funzione di sostegno, i pilun e i muretti a secco dei terrazzamenti contribuivano alla creazione di un microclima favorevole alla maturazione dell’uva, riducendo l’escursione termica tra giorno e notte. Il succedersi dei terrazzamenti e vigneti iniziò a caratterizzare il paesaggio del territorio. Anche la Paraj Auta e Monte Appareglio vennero terrazzati e destinati alla coltura della vite. Scomparvero i boschi e la collina vide ridisegnato il suo profilo.

Dopo la caduta dell'Impero Romano, Ivrea fu sede dell'omonimo ducato longobardo (tra il VI e il VII secolo) e all'inizio dell’VIII secolo divenne contea e marca carolingia (Marca d’Ivrea) sotto la nascente dinastia Anscarica. Dall'anno 1000, venne governata dal marchese Arduino, poi eletto Re, e Ivrea acquisì grande importanza all'interno del Regno d'Italia. In questi anni fu edificata sulla Paraj Auta la Cappella medievale di San Grato con Romitorio, ancora oggi visitabile. A Pavone, sull’altro versante della collina, il borgo si accrebbe con la fortificazione delle imponenti cinta murarie e la costruzione del Castello. Un’altra particolarità del periodo medievale a Pavone sono Ij Rusèt, i Ricetti, ovvero i ricoveri utilizzati per custodire il raccolto che all’occorrenza fungevano da rifugio per persone e bestiame. Ancora oggi Ij Rusèt sono segnalati e in parte visitabili.

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Castello di Pavone                                                     Ij Rusèt

Il territorio eporediese fu successivamente teatro di scontri tra il marchesato del Monferrato, il vescovo di Ivrea e altri potentati, tra cui il contado dei Savoia. In questi anni vennero erette sugli speroni rocciosi di Monte Appareglio torri di avvistamento, costruite durante gli scontri tra i Marchesi del Monferrato e i Principi di Savoia. I cittadini spaventati dai continui tentativi di dominazione chiesero di erigere forti di guardia armati sul territorio, al fine di avvistare gli eserciti in arrivo e di poter avvisare la gendarmeria del pericolo. Resti di queste torri si rinvengono sulla sommità del Bric Appareglio, dove sorgono le rovina di una di esse e i muri di un ricovero per cavalli, e su uno sperone roccioso all’ingresso di Bellavista dove svetta Torre Maridon. L’edificio fortificato, abitato fino agli anni ‘40 del secolo scorso, è ora inagibile e non accessibile; una selva di giovani frassini ne custodisce i segreti.

IMG 15bis 1Torre Maridon

Il territorio di Bellavista, come il resto della città, assistette a una significativa crescita economica nei secoli di dominazione sabauda, ma nel complesso il suo aspetto non mutò. Fu all’avvento della famiglia Olivetti che le grandi trasformazioni urbanistiche cambiarono il volto del quartiere per sempre, consegnandoci l’abitato che conosciamo oggigiorno. La nascita di Bellavista fu accompagnata da un progressivo abbandono della collina. Sui versanti vicini a Pavone la coltivazione di vigne e frutteti prosegue in minima parte ancora oggi, ma dei terrazzamenti che avevano costituito i suoi versanti per tanti secoli restano pochi ricordi nascosti dalla vegetazione. Il bosco è tornato a colonizzare le superfici incolte, le viti si sono inselvatichite o sostituite da rovi, fitti arbusti e giovani popolamenti pionieri di frassino, roverella e castagno.


I boschi

La collina della Paraj Auta si erge nella piana di Ivrea come un’oasi verde tra abitati e campagne. Le sue pendici sono coperte di boschi e macchie di rigogliosa vegetazione. L’intero promontorio rientra nella Zona Speciale di Conservazione (ZSC) "Boschi e Paludi di Bellavista" e si distingue per una grande varietà di consociazioni forestali. Nelle zone più aride e rocciose vegetano specie xerotermofile, che ben si adattano a lunghi periodi siccitosi e al calore raccolto e rilasciato dalle rocce affioranti. Le pendici e i pianori sono coperti da alberi tipici delle foreste planiziali, i cosiddetti querco-carpineti. Stagni e paludi caratterizzano nicchie e angoli unici, dal grandissimo valore ecologico, tutelate e oggetto di piani di valorizzazione. La collina è visitabile grazie a un fitto reticolo di stradine forestali e sentieri che collegano Bellavista a Pavone, e permettono di accedere e uscire in altri punti secondari. I percorsi sono in parte segnalati, ma la possibilità di perdersi nel labirinto di incroci secondari è alta. Passeggiare e perdersi può essere un ottimo modo per visitare la Paraj Auta.

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I sentieri labirintici della Paraj Auta

Sulla sommità di Monte Appareglio e delle altre creste del colle la vegetazione dominante è il bosco xerofilo a roverella (Quercus pubescens). La roverella è una delle querce più diffuse nei nostri ambienti, ama versanti assolati e suoli ben drenati, si adatta ai climi freddi. Si differenzia dalle altre specie del genere Quercus per le gemme e le foglie ricoperte da una fine peluria. Inoltre, le foglie secche restano sui rami a lungo caratterizzando i boschi di roverella nei mesi invernali.  Nelle aree in cui il suolo accumulato sulle rocce risulta sufficientemente profondo la roverella si associa al castagno (Castanea sativa), un tempo largamente coltivato, e altre specie arboree adattabili a questi ambienti aridi come il cerro (Quercus cerris), il carpino nero (Ostrya carpinifolia) e l’orniello (Fraxinus ornus). Il castagno è una specie largamente presente nei nostri boschi, ma che con molta probabilità fu portato nel nord Italia dai Romani che lo coltivavano per i molteplici utilizzi che se ne ricavavano. Il castagno vegeta nella fascia vegetazionale delle querce, e a esse si sostituì. Attualmente la coltivazione dei boschi si è ridotta sensibilmente e le querce stanno tornando a popolare gli ambienti basali e planiziali. Sia la roverella che il castagno possono essere governati a ceduo, una forma di gestione forestale che sfrutta la capacità di queste specie di produrre nuovi polloni (fusti secondari) dalle ceppaie.

La Paraj Auta presenta tracce di questa coltivazione attraverso le ceppaie mature di entrambe le piante. Il cerro si distingue dalla roverella per la particolare conformazione della cupola che protegge la ghianda (il frutto del genere Quercus), ricoperta di una sorta di grossolana e dura peluria ricciuta. Il carpino nero si associa alle querce nei versanti più freschi e umidi, caratterizzato da foglie ovali seghettate e frutti riuniti in caratteristici grappoli bianco-verdi. L’orniello è sporadico sulla collina, con portamento slanciato, corteccia argentata e foglie imparipennate, tipiche del genere Fraxinus. Nelle aree di massima espansione lungo gli Appennini è conosciuto come albero della manna dal nome della sostanza pregiata che si ottiene dalla sua linfa. Nei boschi è presente anche la betulla (Betula pendula), che si adatta ad ambienti anche molto diversi, ma predilige suoli poveri e luminosi dove incontra poca competizione.

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Sommità aride e rocciose dei rilievi della PAraj Auta

Il sottobosco è costituito da un denso ed eterogeneo strato composto da diverse specie arbustive ed erbacee, queste ultime spesso lianose o rampicanti. I boschi xerotermici di roverella godono di una grande quantità di luce al suolo, che garantisce la crescita di numerose specie arbustive e rende impervio l’attraversamento. In questa massa intricata e pungente trovano rifugio i mammiferi che popolano la collina. I numerosi roveti (Robus spp.) si intervallano a popolamenti di biancospino (Crataegus monogyna) dalla splendida fioritura primaverile e dai grappoli di piccoli pomi rossi, di prugnolo (Prunus spinosa) caratterizzato da bacche blu che maturano dopo le prima gelate autunnali, di rosa canina (Rosa canina) che cresce in grandi cespugli decorati dai delicati fiori rosa di maggio, di pungitopo (Ruscus aculeatus) una Liliaceae sempreverde dalle foglie acuminate tipica dei boschi del Canavese e di spincervino (Rhamnus cathartica).

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Ginestra in fiore e Mombarone

Ad accompagnare queste distese spinose troviamo il brugo (Calluna vulgaris) e la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius) due arbusti diffusi sui colli rocciosi eporediesi, amanti delle creste calde, soleggiate e dal substrato acido e povero. Il brugo è un parente stretto dell’erica, dal suo nome deriva la definizione di brughiera, particolarmente abbondante nelle isole britanniche. La ginestra, tipica della macchia mediterranea, tinge di giallo la collina con le sue fioriture estive. Le specie erbacee avvantaggiate dalla presenza di molta luce devono però fare i conti con una più accentuata aridità e un substrato poco fertile. Troviamo varie specie del genere Molinia, la pungente Festuca ovina, l’iperico (Hypericum perforatum), i garofani (Dianthus spp.), l’anterico (Anthericum ramosum) e il caratteristico fico d’India nano (Opuntia humifusa).

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Opuntia: Il fico d'India nano (Opuntia humifusa) è una pianta succulenta imparentata con i fichi d’India autoctoni nostrani. Ha un portamento più o meno prostrato, talvolta eretto, con pale (cladodi) ovali, piatte e poco spinose. I fiori di un bel giallo zolfo dalla base rossastra maturano in frutti piriformi glabri, di colore violaceo. L'areale originario del fico d'India nano si estende dal nord degli Stati Uniti orientali fino al Messico settentrionale. Nel 1800 è stato introdotto in Italia a scopo ornamentale e da allora si è rapidamente diffuso in diversi ambienti xerotermici e aridi della penisola. L’opuntia si è ben adattata alle colline rocciose eporediesi, tra cui la Paraj Auta, dove è facile osservarla passeggiando sui sentieri. Nonostante provenga da regioni calde e aride ha una straordinaria capacità di resistere al freddo dei nostri climi. Durante il periodo invernale la pianta entra in riposo vegetativo, da fine estate comincia a perdere gradualmente vigore, ripiegandosi su sé stessa e appiattendosi al suolo. I cladodi assumono un aspetto raggrinzito e si arrossano per la presenza di betalaine, sostanze che rendono la pianta molto resistente al freddo.  Il fico d'India nano rappresenta un esempio di specie alloctona naturalizzata, con buona capacità di diffusione, ma che non danneggia le specie vegetali locali. Per questo la sua presenza è tollerata anche nelle aree a parco e non sono previsti piani di eradicazione.

Nelle vallette più fresche e umide si trovano lembi di foresta planiziale, i boschi del querco-carpineto. Questa particolare consociazione forestale ricopriva tutta la Pianura Padana prima dell’avvento delle popolazioni preromane che iniziarono la trasformazione agricola del nostro territorio. A dominare il querco-carpineto troviamo due specie, la farnia (Quercus robur) e il carpino bianco (Carpinus betulus). La farnia è la quercia più grande e maestosa, un albero di prima grandezza che si sviluppa con un tronco possente e grandi rami robusti. La corteccia scura e rugosa è casa per una ricchissima entomofauna, le foglie lobate caratteristiche del genere Quercus sono di un bel verde brillante durante la stagione vegetativa, offrono riparo e ristoro per gli uccelli e formano un fertile letto croccante d’inverno. Le grosse ghiande sono il cibo di uccelli e mammiferi come il cinghiale, gli scoiattoli e i ghiri. La farnia ama la luce e il sole, cresce solitaria svettando in altezza sopra le chiome degli alberi vicini.

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La farnia domina i boschi planiziali piemontesi

Ai suoi piedi crescono i carpini, una volta abbondanti e rigogliosi, ora in regressione a causa del cambiamento del clima. Il carpino bianco si distingue per tronchi argentati lisci, che si ripiegano in costolature caratteristiche, molto diversi dalle cortecce scure e screpolate del carpino nero. Le foglioline seghettate verdi e leggere permettono a qualche raggio di sole di raggiungere il suolo, ma è un bosco decisamente più ombroso quello del querco-carpineto, con un sottobosco più rado. La collina custodisce carpini di notevoli dimensioni e pregio naturalistico. 

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Farnie e carpini cresciuti assieme

In questi boschi crescono differenti specie arboree, varietà di pregio che compongono la “corte” delle farnie e che vengono per questo dette specie di corteggio. Oltre agli alberi presenti in associazione alla roverella, abbondano piante più esigenti dal punto di vista idrico e meno adatte agli ambienti xerotermici delle zone sommitali. Il frassino maggiore (Fraxinus excelsior) alto e dritto, con corteccia grigia liscia, foglie composte imparipennate (come il cugino orniello) e caratteristiche perule delle gemme nere e vellutate. Il ciliegio selvatico (Prunus avium) abbondante dal piano basale alle alte colline, ben visibile nei boschi a inizio primavera quando si veste di candide fioriture, prima della fogliazione degli altri alberi. Il rovere (Quercus petraea) l’ultima grande quercia dei nostri boschi, difficilmente distinguibile dalle farnie se non per la leggera predilezione degli ambienti rocciosi e asciutti e un piccolo dettaglio nei piccioli: la farnia ha foglie sessili (prive di peduncolo) e ghiande portate su lunghi peduncoli, il rovere viceversa ha foglie picciolate e frutti sessili.

Gli aceri nei boschi della Paraj Auta sono rappresentati per la maggior parte dall’acero campestre (Acer campestre) un tempo utilizzato come tutore della vite, pianta provvista di frutti detti disamare, con seme alato, dai bambini chiamato “elicottero” per il caratteristico modo di ruotare su sé stesso durante la caduta a terra. Il bagolaro (Celtis australis), particolarmente abbondante nell’Eporediese, chiamato anche spaccasassi per la sua capacità di insinuare le radici nelle fessure delle rocce e di frammentarle. L’olmo (Ulmus minor) albero un tempo diffusissimo, ora gravemente ridotto a causa della grafiosi dell’olmo, una malattia di origine fungina che ne ha decimato le popolazioni mature. Più raramente si incontra il tiglio (Tilia spp.) che nei querco-carpineti si associa a frassini e aceri nelle conche più fresche e umide. Tra gli arbusti abbondano le specie adattabili a condizioni di ombreggiamento come il sambuco (Sambucus nigra), il nocciolo (Corylus avellana), il nespolo (Crataegus germanica) il sorbo (Sorbus spp.), la fusaggine (Euonymus europaeus),  il corniolo (Cornus mas) e il sanguinello (Cornus sanguinea). Sono tutte piante che producono bacche e frutti indispensabili per il sostentamento della fauna del bosco.

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Cespugli da bacca: biancospino, rosa canina

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Cespugli da bacca: fusaggine

La presenza di una così grande varietà di flora arbustiva rappresenta un valore unico per questi boschi, essa incrementa la stratificazione della struttura verticale del bosco, aumentando il numero di rifugi e nicchie ecologiche a disposizione degli animali. Vale la pena menzionare lo strato nemorale, cioè l’insieme di essenze erbacee che fioriscono dal tardo inverno alla prima estate, anticipando la fogliazione per catturare quanta più luce possibile. Passeggiando nei boschi in questi mesi è possibile osservare macchie vivaci di colore fare capolino lungo i sentieri. Blu della scilla silvestre (Scilla bifolia), dell’epatica (Hepatica nobilis) e della polmonaria (Pulmonaria officinalis); viola della pervinca (Vinca minor), del dente di cane (Erythronium dens-canis) e delle violette (Viola spp.); giallo della primula (Primula vulgaris) e del favagello (Ranunculus ficaria); bianco del campanellino (Leucojum vernum), dell’anemone (Anemone nemorosa), dell’aglio orsino (Allium ursinum) e della fragolina di bosco (Fragaria vesca).

IMG 23Pervinche in fiore

Nascoste in mezzo al bosco le aree umide custodiscono il tesoro più grande della collina. Dal 2 febbraio 1971, con la ratifica della Convenzione di Ramsar, le zone umide sono poste sotto tutela in tantissimi Paesi del mondo. In Europa questi habitat vengono censiti, protetti e raccontati attraverso progetti di sensibilizzazione e salvaguardia. Le zone umide sono scrigni di biodiversità, costituiscono uno dei principali motivi di interesse naturalistico del sito. Non per altro la Zona Speciale di Conservazione che insiste su questo territorio riguarda i “Boschi e Paludi di Bellavista".

SIC/ZSC: I SIC (Siti di Interesse Comunitario), la loro evoluzione ZSC (Zone Speciali di Conservazione) e le ZPS (Zone a Protezione Speciale) rappresentano la Rete Natura 2000, un insieme di aree naturali protette per tutelare particolari habitat o siti di interesse per l’avifauna (Direttive Habita e Uccelli). La Paraj Auta viene identificata con il SIC/ZSC dal nome Boschi e paludi di Bellavista (codice identificativo: IT1110063). Comprende un'area di 94 ettari nel territorio tra i comuni dI Ivrea e Pavone Canavese. L’unicità dei suoi habitat permette di ospitare specie vegetali igrofile che altrove sono ormai divenute rare o che rischiano l'estinzione, tra cui alcune incluse nella lista rossa delle specie vegetali minacciate nella Regione Piemonte. Per conservare l'integrità ambientale del sito sono previste misure di gestione specifiche, comprendenti una serie di divieti (prelievi idrici, immissione di specie acquatiche alloctone) e di prescrizioni (trasformazione dei boschi cedui in fustaie disetanee). È inoltre vietato l'abbattimento di querce senescenti o morte colonizzate da grandi coleotteri xilofagi come il cervo volante. Il sito è stato identificato per tutelare alcuni specifici habitat:

  • ·         Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition (cod. 3150);
  • ·         Querceti di farnia o rovere subatlantici e dell'Europa centrale del Carpinion betuli (cod.9160);
  • ·         Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (cod.91E0);
  • ·         Boschi di Castanea sativa (cod. 9260).

Le piccole cenosi umide sono quasi completamente interrate e soggette a sensibili variazioni stagionali del contenuto idrico, anche il grande Stagno di Bellavista in queste ultime estati siccitose si è ridotto ad acquitrino. Secondo la classificazione regionale le zone umide si dividono in naturali e artificiali. Nelle prime rientrano sorgenti, fontanili (risorgive in pianura), acque correnti, laghi, aree perifluviali, stagni, paludi, acquitrini, torbiere e boschi umidi. Tra le seconde si annoverano canali e fossi artificiali, risaie, laghi di cava e altri invasi artificiali. La differenza tra stagni e acquitrini risiede nella stabilità della sommersione. Stagni e paludi sono specchi d’acqua stagnante perenne, con profondità inferiore ai 6 metri e ricca vegetazione riparia. Gli acquitrini invece sono caratterizzati da acque non superiori al mezzo metro e sono soggetti a significative fluttuazioni stagionali o giornaliere. Lo Stagno di Bellavista non è dotato di affluenti che ne garantiscano un livello continuo e stabile e negli ultimi anni ha subito importanti variazioni idriche. Sulla Paraj Auta sono presenti numerosi lembi di bosco umido, alcune torbiere e puntuali acquitrini. Questo insieme di habitat ospita una ricchissima varietà di piante e animali contribuendo ad aumentare il tasso di biodiversità del sito. Il bosco umido qui presente somiglia molto per specie e struttura ai boschetti ripariali che si incontrano lungo i fiumi del territorio. Le specie vegetali che popolano questi boschi sopportano le periodiche sommersioni dovute al ristagno idrico dopo abbondanti precipitazioni o al riaffioramento della falda freatica superficiale.

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Cenosi umida sulla Paraj Auta

Lo strato arboreo dominante è caratterizzato dalle citate farnie e dal gruppo dei pioppi. Tra questi ultimi quello bianco (Populus alba) è il più diffuso, caratterizzato da una corteccia chiara e foglie ovoidali, lucide nella pagina superiore e ricoperte da una peluria biancastra sulla pagina inferiore. Abbondante anche il pioppo nero (Populus nigra) con la corteccia più scura e rugosa. Presenti il pioppo tremulo (Populus tremula) dal caratteristico assottigliamento del picciolo fogliare che genera il tipico effetto tremulo delle foglie scosse dal vento e il pioppo canescens (Populus canescens). Tutti i pioppi producono pappi di pelo attorno ai piccoli semi per sfruttare l’azione combinata del vento e dell’acqua per la loro dispersione, riempiendo l’aria e il suolo di uno strato simile a neve nel periodo di fruttificazione. Ad accompagnare querce e pioppi, numerose specie presenti anche nel querco-carpineto (ciliegi, olmi, aceri), oltre a salici e ontani. I salici sono un genere cugino dei pioppi, sulla Paraj Auta si possono incontrare il salice bianco (Salix alba) e il salicone (Salix caprea) che differiscono fondamentalmente per le dimensioni raggiunte, maggiori nel primo, e nella forma delle foglie, sottili e lisce nel bianco e ovali e pelose nel secondo.

Gli ontani sono alberi colonizzatori di suoli umidi o sommersi, sopportano il ristagno e sono ottimi bonificatori. Il legno, di un bel colore arancione acceso, ha un'ottima resistenza all’acqua ed è stato nei secoli sfruttato per questo motivo (le palafitte di Venezia). Gli ontani sono inoltre azotofissatori, sono in grado di fissare l’azoto atmosferico nel suolo grazie alla simbiosi radicale con i batteri del genere Frankia. L’ontano nero (Alnus glutinosa) è frequentemente presente in questi boschi, è caratterizzato da tronchi slanciati scuri, foglie ovali di un verde brillante e le tipiche strutture fruttifere simili a piccole pigne legnose. I boschi umidi sono freschi e rigogliosi, il sottobosco è ricco di arbusti rustici come sambuco (Sambucus nigra), viburno (Viburnum opulus), frangola (Frangula alnus) rovi e nocciolo e un nutrito strato erbacee di graminacee, giunchi e specie dai delicati fiori colorati (Stachys, Impatiens, Veronica, Talictrum). Particolarmente significativa sulla Paraj Auta è la presenza di felci e muschi che hanno trovato sulle rocce ombrose il proprio habitat privilegiato.

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Le felci: la composizione delle rocce superficiali e le particolari condizioni microclimatiche permettono di osservare una straordinaria varietà di felci sulla collina della Paraj Auta. Le felci sono piante evolutivamente antiche, prive di organi riproduttivi quali seme, fiore o frutto. La loro diffusione si basa sulla presenza delle spore e la vicinanza all’acqua, da cui dipendono per completare i propri cicli biologici. Passeggiando per i sentieri è facile osservare specie anche molto diverse nel portamento e dimensioni, dalle grandi felci maschio (Dryopteris filix-mas) ai minuscoli aspleni (Asplenium trichomanes, Asplenium septentrionale, Asplenium germanicum) che popolano le fessure dei muretti. La radice della felce dolce (Polypodium vulgare) ricorda il gusto della liquirizia e le popolazioni locali l’hanno da sempre utilizzata come dolcificante per le bevande calde. Più rara, ma presente la felce pelosa (Dryopteris pseudomas) si distingue dalla cugina felce maschio per una diffusa peluria sui giovani getti, entrambe colonizzano gli angoli freschi e umidi dei boschi di querce. Il nome del genere Dryopteris deriva dalle parole greche drys, quercia, e pteris, felce. Tra le rocce e nei piccoli anfratti vegeta anche la felcetta fragile (Cystopteris fragilis). Una simil varietà di specie di felci non è comune ed è indicativo della straordinaria diversità di ambienti che caratterizzano la Paraj Auta.


 

Specie alloctone

I boschi e le aree naturali limitrofe alla città soffrono più di altri ambienti della diffusione di specie esotiche, portate dall’uomo più o meno volontariamente. Molte specie che ora minacciano i nostri ecosistemi sono state introdotte come specie ornamentali nei parchi e nei giardini. Altre si sono diffuse grazie a semi o a organi vegetativi trasportati col commercio di legname. Normalmente le specie esotiche, fuori dal loro areale naturale, risultano maggiormente suscettibili alle condizioni climatiche differenti e all’attacco dei patogeni locali (funghi, insetti, batteri), quando sopravvivono non riescono a riprodursi con successo e non creano problemi di tipo ecologico. Talvolta, viceversa, queste specie trovano nei nuovi ambienti habitat ottimali per una esponenziale espansione, senza limitazioni di competitori naturali, avvantaggiate dalle condizioni pedo-climatiche favorevoli. In questo caso le piante sono dette aliene o alloctone invasive, e il loro potenziale distruttivo va contrastato attivamente.

La specie esotica invasiva per eccellenza è la robinia (Robinia pseudoacacia) che però merita una trattazione a sé stante. La robinia, infatti, nonostante abbia mantenuto un carattere piuttosto invasivo è considerata una specie quasi naturalizzata nei nostri ecosistemi. Originaria nel Nord America fu introdotta nel 1600 come specie ornamentale nell’orto botanico di Parigi. A oggi risulta diffusa in tutto il continente europeo e dopo quattro secoli di coesistenza con le specie arboree locali si sta mostrando meno aggressiva ed escludente. I boschi sani contengono la sua diffusione, mentre negli ambienti fortemente degradati o impoveriti dalle attività antropiche costituisce l’elemento vegetale dominante senza il quale non vegeterebbero altri soprassuoli boscati. Essa, inoltre, ha assunto nel tempo sempre maggior importanza per alcuni settori economici. Grazie alla rapidità di crescita viene sovente utilizzata per la produzione di legna da ardere o per la filiera delle biomasse, mentre i fiori ricchi di nettare forniscono la fonte primaria di nutrimento per le api dei nostri apicoltori. Sulla Paraj Auta la robinia abbonda ed è la prima specie a colonizzare gli ex-coltivi abbandonati.

Diversamente dalla robinia molte altre specie presenti sul territorio sono di più recente introduzione e mostrano ancora un carattere invasivo altamente dannoso. La quercia rossa (Quercus rubra) originaria del Nord America,è stata introdotta come specie di interesse forestale per la produzione di legname. Attualmente ne è vietato l’uso, sopravvive in numerosi parchi e alberature, e si è diffusa nei boschi della Pianura Padana. Si riproduce rapidamente e con successo nei nostri ambienti, più frugale e rustica è in grado di sostituire farnia, rovere e roverella nei loro habitat. Altrettanto dannoso e pericoloso è l’ailanto (Ailanthus altissima), introdotto come specie ornamentale poi diffusosi in tutto il territorio sfruttando ambienti poveri e liberi come i cigli delle strade e delle ferrovie. Attualmente è tra le specie più aggressive di quelle contenute nella Black List regionale, un elenco di specie alloctone invasive suddiviso per gruppi, a seconda del tipo di interventi di contenimento previsti dalla normativa.

Nei boschi umidi attorno a Ivrea e sulla Paraj Auta sono presenti anche la buddleja (Buddleja davidii) detta albero delle farfalle e ancora largamente utilizzata a scopo ornamentale per le fioriture profumatissime e colorate, l’acero negundo (Acer negundo) e il pruno serotina (Prunus serotina). Le specie aliene invasive causano danni alle specie vegetali locali direttamente (sostanze allelopatiche) o indirettamente per ibridazione, competizione dello spazio, sottrazione delle risorse, alterazione degli ecosistemi e degli habitat. Spesso l’introduzione accidentale di nuove specie favorisce la diffusione di malattie e patogeni esotici contro cui le piante autoctone non hanno sistemi di difesa adeguati. In ultimo alcune specie invasive causano allergie all’uomo e agli animali, o possono arrivare a minacciare la tenuta di manufatti storici (vedi ailanto). Grazie a importanti progetti europei di prevenzione e informazione, come il progetto ASAP – Alien Species Awareness Program, la lotta alle specie aliene invasive sta cominciando a ottenere i primi importanti risultati.

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Fori di picchio e di insetti xilofagi su necromassa


Animali del quartiere

La collina di Bellavista rappresenta una delle aree naturali che compongono la rete ecologica del Canavese. Si connette col sistema della Serra e delle Alpi grazie ai corridoi biologici rappresentati dai fiumi. L’abitato del quartiere e la campagna circostante formano zone cuscinetto, aree fortemente antropizzate, ma che conservano un livello di naturalità sufficiente a permettere a piante e animali di muoversi anche al di fuori dei confini della Paraj Auta. Quando si parla di animali presenti negli ambienti periurbani o di interfaccia ci si riferisce fondamentalmente a due grandi gruppi: gli insetti e gli uccelli. Sono animali dotati di ali, che permettono loro un rapido allontanamento dai disturbi antropici e la colonizzazione di un ambiente quale l’aria, che non ci appartiene. Fortunatamente i giardini di Bellavista e i boschi della Paraj Auta non ospitano soltanto insetti e uccelli, ma una più vasta e ricca fauna selvatica. Diverse specie hanno addirittura imparato a sfruttare la vicinanza con l’uomo avvantaggiandosi delle riserve di cibo che possono trovare nei campi, negli orti o tra i rifiuti.

Come anticipato uno dei gruppi meglio rappresentati è quello degli insetti. Tra essi spiccano le variopinte farfalle come il macaone (Papilion machao), le vanesse (Vanessa atalanta, Aglais io) e le cupido (Cupido spp.), gli imenotteri impollinatori come le api (Apis mellifera) e le vespe (Vespula germanica, Polistes dominula), le lucciole, le cavallette, le libellule, le coccinelle le formiche. L’area della Paraj Auta è protetta anche per tutelare specie a rischio come il cervo volante (Lucanus cervus) e il cerambice della quercia (Cerambyx cerdo). Facili da osservare sono anche diversi i ragni, parenti stretti degli insetti, tra cui il crociato (Araneus diamantatus), il ragno vespa (Argiope bruennichi), i ragni lupo, i ragni verdi e gli opilionidi. Altri invertebrati particolarmente presenti sono le lumache, le chiocciole, gli scorpioni e i vermi come il lombrico (Lombricus spp.).

Le acque degli stagni non garantiscono sufficiente ossigenazione e stabilità in sommersione per la presenza di molte specie ittiche; tuttavia, sono stati segnalati lo scazzone (Cottus gobio), il vairone (Telestes muticellus) e il barbo (Barbus barbus). Le acque stagnanti e paludose, assieme ai boschetti umidi rappresentano invece l’habitat ideale per alcune specie di anfibi (Rana lessonae, Hyla intermedia, Rana dalmatina, Triturus vulgaris, Bufo bufo). Le rane si possono osservare o ascoltare durante la bella stagione, mentre i rospi sanno spingersi anche oltre i confini del bosco e raggiungere il centro abitato per svernare nelle legnaie o in angoli riparati dei cortili. Con l’obiettivo di salvaguardare la presenza del raro pelobate fosco (Pelobates fuscus), un anfibio in forte declino, la collina è stata selezionata per azioni di monitoraggio e tutela.

Il pelobate fosco: il pelobate fosco insubrico (Pelobates fuscus insubricus) è un anfibio simile a un piccolo rospo, di cui è rimasto qualche migliaio di esemplari in pochissimi luoghi fra il Piemonte e la Lombardia. Nonostante le piccole dimensioni il SIC/ZSC Boschi e paludi di Bellavista è stato considerato come uno dei siti potenzialmente idonei alla presenza e al ripopolamento del pelobate. Questo sia in relazione alla vicinanza delle stazioni note dei Laghi d’Ivrea, sia per le caratteristiche ambientali del tutto paragonabili a quelle delle limitrofe, dove la specie è presente. Le zone umide della Paraj Auta, seppur poche numericamente, appaiono particolarmente vocate alla specie e, previa realizzazione di interventi di parziale miglioramento e ripristino dei siti di riproduzione, la ZSC risulta ottimale per la costituzione di una nuova popolazione di pelobate. Nell’ambito del progetto Life Insubricus la Città metropolitana di Torino ha deciso di costituire un elenco di erpetologi a cui conferire incarichi diretti, in relazione alle attività di monitoraggio del progetto. Nel marzo 2022 è stato bandito un avviso pubblico per esperti che possano realizzare azioni di monitoraggio nelle aree canavesane precedentemente individuate: Boschi e Paludi di Bellavista; Laghi d'Ivrea, Scarmagno–Torre Canavese (Morena destra d'Ivrea), Stagni di Poirino Favari.

La conformazione rocciosa della collina e la presenza di tanti manufatti in pietra offre stabile riparo per molti rettili, tra cui la onnipresente lucertola (Podarcis muralis) il coloratissimo ramarro (Lacerta viridis), lo schivo orbettino italico (Anguis veronensis) e la biscia dal collare (Natrix natrix) che ben si adatta ad ambienti soleggiati ricchi di aree umide.

L’avifauna rappresenta il gruppo animale maggiormente espresso sulla collina e tra i giardini del quartiere. Molte specie di uccelli si possono osservare comodamente affacciati ai propri balconi o sdraiati sui prati. Per altre specie invece occorre dirigersi verso il bosco, trovarsi un buon punto di avvistamento (rialzato, ma ancora immerso nella vegetazione) e attendere con pazienza. La presenza di una ricca popolazione di volatili incrementa il tasso di biodiversità dell’area migliorando la qualità ecologica complessiva. Inoltre, diversi studi sono riusciti a dimostrare il beneficio psichico del canto degli uccelli sugli esseri umani. Attorno agli stagni e alle aree umide si possono incontrare il germano reale (Anas platyrhynchos) con i caratteristici colori differenti tra i sessi, l’elegante airone cenerino (Ardea cinerea), la gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) che vive nei canneti e la ballerina bianca (Motacilla alba) che caccia insetti sulle pietre limacciose. Più rari da osservare sono il martin pescatore (Alcedo atthis) e il falco di palude (Circus aeruginosus) che prediligono acque più profonde e ricche di pesci.

I querceti sono l’habitat ideale per gli uccelli di bosco come la ghiandaia (Garrulus glandarius) con le sue ali azzurre e nere, il picchio verde (Picus viridis) e il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) riconoscibili anche a distanza per il suono dei becchi sui tronchi morti, la cinciallegra (Parus major) e la cinciarella (Parus caeruleus) dai piumaggi allegri e variopinti, il minuscolo codibugnolo (Aegithalos caudatus), il cardellino (Carduelis carduelis) e il fringuello (Fringilla coelebs). Presenti nei boschi anche i rapaci come la poiana (Buteo buteo), il gheppio (Falco tinnunculus), il gufo comune (Asio otus), l’allocco (Strix aluco) e la civetta (Athene noctua). Procedendo verso il centro abitato incontreremo con più frequenza le specie che prediligono gli ecosistemi di interfaccia urbano-agricolo-forestale con ampie aree aperte intervallate a boschetti e arbusteti. Qui si incontrano facilmente la gazza ladra (Pica pica), il pettirosso (Erithacus rubecula) che sverna dai rigori del nord, il merlo (Turdus merula) sempre a caccia di lombrichi, il colombaccio (Columba palumbus) spesso preda della poiana, lo sfrontato codirosso (Phoenicurus ochruros) e il timido pigliamosche (Muscicapa striata). Se si è fortunati si può osservare anche l’upupa (Upupa epops) con la sua cresta bianco-nera e il becco ricurvo, che ama i prati assolati dove va a caccia di grilli. Strettamente legate agli ambienti urbani troviamo invece il piccione (Columba livia), la tortora dal collare (Streptopelia decaocto), il passero (Passer italiae), la cornacchia grigia (Corvus cornix) e lo storno (Sturnus vulgaris), mentre nei cieli sopra Bellavista non è insolito veder sfrecciare il rondone comune (Apus apus) e la rondine (Hirundo rustica).

Più difficili da osservare sono i mammiferi selvatici, che tendono a evitare gli ambienti tanto frequentati dall’uomo e preferiscono restare nascosti, uscendo per nutrirsi la sera o all'alba. Passeggiando in silenzio nelle aree verdi o sulla collina in queste fasce giornaliere sarà più facile avvistarne qualcuno. Il coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) e la minilepre (Sylvilagus floridianus) fanno visita ai prati dei piccoli giardini, così come il topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il riccio (Erinaceus europaeus) e la talpa (Talpa europaea) spesso attratti dai piccoli orti o dai bulbi dei fiori coltivati. Sulla Paraj Auta, con un po’ di fortuna si potrebbero osservare anche alcuni piccoli mammiferi di bosco come lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), la faina (Martes foina), il ghiro (Glis glis), il moscardino (Muscardinus avellanarius) e la volpe (Vulpes vulpes). Sulla collina transitano gruppi di cinghiali (Sus scrofa) e branchi di guardinghi caprioli (Capreolus capreolus). La sera attorno ai lampioni si affollano diverse specie di pipistrelli, o chirotteri, utilissimi cacciatori di zanzare, tra i pochissimi mammiferi in grado di volare.

Non sempre si ha la fortuna di osservare o incontrare gli animali selvatici di persona, ma si può comunque imparare a riconoscere le tracce lasciate sul territorio per annotarne la presenza. Le guide escursionistiche e le guardie forestali insegnano a farlo e un buon osservatore è in grado di conoscere gran parte della fauna locale semplicemente osservando queste tracce. Mettiti alla prova con questo test!

SIC/ZSC: I SIC (Siti di Interesse Comunitario), la loro evoluzione ZSC (Zone Speciali di Conservazione) e le ZPS (Zone a Protezione Speciale) rappresentano la Rete Natura 2000, un insieme di aree naturali protette per tutelare particolari habitat o siti di interesse per l’avifauna (Direttive Habita e Uccelli). La Paraj Auta viene identificata con il SIC/ZSC dal nome Boschi e paludi di Bellavista (codice identificativo: IT1110063). Comprende un'area di 94 ettari nel territorio tra i comuni dI Ivrea e Pavone Canavese. L’unicità dei suoi habitat permette di ospitare specie vegetali igrofile che altrove sono ormai divenute rare o che rischiano l'estinzione, tra cui alcune incluse nella lista rossa delle specie vegetali minacciate nella Regione Piemonte. Per conservare l'integrità ambientale del sito sono previste misure di gestione specifiche, comprendenti una serie di divieti (prelievi idrici, immissione di specie acquatiche alloctone) e di prescrizioni (trasformazione dei boschi cedui in fustaie disetanee). È inoltre vietato l'abbattimento di querce senescenti o morte colonizzate da grandi coleotteri xilofagi come il cervo volante. Il sito è stato identificato per tutelare alcuni specifici habitat:

·         Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition (cod. 3150);
·         Querceti di farnia o rovere subatlantici e dell'Europa centrale del Carpinion betuli (cod.9160);
·         Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (cod.91E0);
·         Boschi di Castanea sativa (cod. 9260).